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Responsabilità dell’appaltatore: natura giuridica e rapporti con l’art. 2043

L’appaltatore, senza necessità di espressa pattuizione con il committente, risponde sia per i vizi e le difformità dell’opera sia per la rovina (o il pericolo di rovina) di edificio.

In un primo tempo si riteneva che la garanzia per vizi rappresentasse un’obbligazione primaria, avulsa da qualsiasi forma di inadempimento da parte dell’appaltatore nei confronti del committente. Attualmente, invece, l’orientamento maggioritario è nel senso di considerare la responsabilità di cui all’art. 1667 c.c. come contrattuale e, pertanto, conseguente ad un inadempimento

Di contro, più controversa appare la natura della responsabilità delineata dall’art. 1669 c.c. non a caso, sulla questione, si sono pronunciate le Sezioni Unite.

L’appaltatore, infatti, oltre che per i vizi, risulta responsabile per la rovina o i gravi difetti dell’edificio che sia destinato a durare nel tempo.

L’art. 1669 c.c., rubricato “rovina e difetti di cose immobili”, così recita: «Quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per la loro natura a lunga durata, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l’opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l’appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta. Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia».

Come si evince dalla lettura della norma, la responsabilità del costruttore è estesa non solo nei confronti del committente, in forza del contratto stesso di appalto, ma anche verso gli aventi causa di quest’ultimo. Proprio da tale disposizione, vale a dire dalla responsabilità nei confronti degli aventi causa, ha avuto scaturigine la vexata quaestio in ordine alla natura giuridica della responsabilità.

In proposito, si riscontrano due posizioni contrastanti.

Un primo orientamento ravvisa nell’art. 1669 c.c. una forma di responsabilità contrattuale. La norma, infatti, trova la propria sedes materiae all’interno della disciplina contrattuale dell’appalto e, pertanto, seguendo un’interpretazione sistematica, pare congruente farla rientrare nell’ambito della responsabilità ex art. 1218 c.c.

Inoltre, i soggetti legittimati ad esperire l’azione nei confronti dell’appaltatore, secondo la lettera della norma, sono unicamente il committente e i suoi aventi causa (non chiunque). Per aventi causa si intendono i successori inter vivos o mortis causa, siano essi acquirenti o legatari.

La natura contrattuale della responsabilità nei riguardi del committente appare evidente.
Nei confronti degli aventi causa, invece, per giustificare la sussistenza della medesima responsabilità si ricorre alla figura del contatto sociale. In altre parole, pur non sussistendo un rapporto negoziale diretto con gli aventi causa, si ritiene che, in capo all’appaltatore, esista un obbligo di protezione per la particolare perizia tecnica insita nella sua attività.

Contro tale posizione si pone l’orientamento che ravvisa nell’art. 1669 c.c. una forma di responsabilità extracontrattuale posta a presidio ed a tutela di qualsiasi terzo danneggiato (quindi non solo degli aventi causa del committente) e non preventivamente rinunciabile

La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza del 3 febbraio 2014, n. 2284 ha chiarito definitivamente la questione, sposando quest’ultimo orientamento.

La responsabilità di cui all’art. 1669 c.c. – si legge nella sentenza – scaturisce da un contratto ma ne valica i confini in quanto è riconducibile ad una violazione delle norme dell’ordine pubblico stabilite a salvaguardia «dell’interesse, di carattere generale, alla sicurezza dell’attività edificatoria, quindi la conservazione e la funzionalità degli edifici, allo scopo di preservare la sicurezza e l’incolumità delle persone». L’art. 1669 c.c., pertanto, risponde all’esigenza di tutelare i soggetti danneggiati dalla rovina o dai gravi difetti di un edificio. Tale norma non deve rappresentare una limitazione della responsabilità dell’appaltatore, al contrario, deve garantire una tutela più efficace agli aventi causa del committente nonché ai terzi.

Proprio al fine di assicurare una maggiore protezione ai soggetti danneggiati, i giudici di Palazzo Cavour, hanno sostenuto che l’art. 1669 c.c. rappresenti una norma speciale rispetto a quella generale contenuta nell’art. 2043 c.c. potendo quest’ultima applicarsi allorché la prima non lo sia in concreto. In altre parole, ad avviso della Suprema Corte, l’art. 1669 c.c. e l’art. 2043 integrano due azioni risarcitorie perfettamente fungibili.

Il legislatore ha introdotto tramite l’art. 1669 c.c. una forma di responsabilità da fatto illecito più rigorosa rispetto a quella generale delineata nell’art. 2043 c.c., caratterizzata da una presunzione iuris tantum di responsabilità in capo all’appaltatore. Tale responsabilità, prosegue la Corte, «è stata limitata nel tempo, in virtù di un bilanciamento tra le contrapposte esigenze di rafforzare la tutela di un interesse generale e di evitare che detta presunzione si protragga per un tempo irragionevolmente lungo».

Le due azioni risarcitorie sono contraddistinte da un diverso regime probatorio: nel primo caso (art. 1669 c.c.) l’appaltatore è onerato da una gravosa prova liberatoria mentre nel secondo (art. 2043 c.c.) spetterà al soggetto danneggiato dimostrare la colpa del costruttore.

In conclusione, con la pronuncia in commento, la Suprema Corte ha ribadito l’indirizzo, ormai consolidato, che sostiene la natura aquiliana della responsabilità dell’appaltatore a vantaggio di una più efficace tutela del committente, degli aventi causa e dei terzi, inoltre ha ammesso l’applicabilità dell’art. 2043 c.c. nel caso in cui non sussistano le condizioni richieste dall’art. 1669 c.c.

 

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