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Riflessioni a seguito di esperienza diretta nel recupero crediti PP.AA

La Pubblica Amministrazione negli ultimi cinque anni ha maturato un numero consistente di debiti nei confronti delle imprese private che, in conseguenza di questa situazione, sono state costrette, molto spesso, ad abbassare le saracinesche e mandare a casa i lavoratori.

Gli ultimi Governi hanno provato a porre un argine a questo scenario drammatico introducendo delle norme che sbloccassero i pagamenti dei debiti della P.A. e consentissero alle imprese la loro sopravvivenza.

Tuttavia, come sempre avviene nel nostro panorama giuridico, le norme anti debiti non hanno trovato un compiuto raccordo con quelle preesistenti né una concreta attuazione.

Proviamo a vedere perché.

Immaginiamo un’impresa X che svolga attività professionale in favore della Pubblica Amministrazione.

Conclusa l’attività, la nostra impresa X chiederà il pagamento integrale della prestazione ovvero il saldo, qualora avesse ricevuto degli anticipi. L’amministrazione, a questo punto, in un paese normale, forse è più opportuno dire civile, dopo avere ricevuto il documento contabile (la fattura) e verificato che l’attività è stata svolta correttamente, dovrebbe pagare.

In Italia non funziona così perché l’impresa svolge l’attività, non viene pagata in tempi ragionevoli, spesso si ritrova esposta con i vari istituti di credito per questi mancati pagamenti e, quando va bene, fallisce, quando va male, si arriva ai gesti estremi degli imprenditori stessi.

Ma torniamo alla nostra impresa X e alle sue peripezie burocratiche.

L’impresa, dunque, ha svolto attività e non è stata pagata e, quindi, a chi si deve rivolgere per ottenere in tempi certi il pagamento di quanto dovuto?

Oggi l’architettura normativa prevede che le imprese possano richiedere la certificazione dei loro crediti nei confronti della Pubblica Amministrazione su una piattaforma telematica del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Badate bene, non tutte le Amministrazioni dello Stato e/o i loro Dipartimenti sono ancora registrati sulla piattaforma.

Se poi, nei trenta giorni successivi alla richiesta, la certificazione non viene resa, le imprese possono chiedere la nomina di un Commissario ad acta e, segnatamente, di un soggetto che si sostituisca al soggetto deputato al rilascio della richiesta certificazione.

Fino a qui sembrerebbe che il sistema sia perfetto e senza sbavature e, soprattutto, costituisca uno straordinario mezzo per fare sì che le imprese ricevano i pagamenti dalla P.A. in un tempo ragionevole.

Ma così non è.

Invero, alla data del 29 dicembre 2014 (cfr. www.mef.gov.it), sono state presentate circa 93.000 istanze per un controvalore di circa 9,8 miliardi di euro. In particolare, il numero più rilevante di istanze riguarda gli Enti locali (circa 53.412) e gli Enti del settore sanitario (circa 20.940).

Come detto, il controvalore delle istanze è pari a 9,8 miliardi di euro: una mini – finanziaria, per intenderci.

Ma i dati del Ministero, tuttavia, riportano, ad esempio, che la Regione Campania pur essendo assegnataria di euro 865.616.136,52 per il 2014 per debiti commerciali, ha presentato un piano dei pagamenti 2014 pari ad euro 241.946.364,75 ed ha proceduto al pagamento di “soli” euro 101.713.725.

Insomma, la nostra impresa X se fosse stata operativa in Campania avrebbe dovuto sperare solo nel fatto che il suo credito rientrasse tra quelli “pagabili”.

Nella Regione Lazio, al contrario, la situazione dei pagamenti dei debiti commerciali, sempre secondo i dati forniti dal Ministero, sembrerebbe buona, ad eccezione della quarta tranche, prevista dal decreto legge 66/2014, atteso che i 798.172.861 di euro stanziati ed accreditati in data 18 dicembre 2014 non sono stati, almeno sempre secondo i dati del Ministero, ancora utilizzati per il pagamento dei debiti.

In realtà, il problema reale di questa situazione debitoria della Pubblica Amministrazione, quanto meno locale che, come visto in precedenza, è quella più rilevante ed ha ricevuto il maggiore numero di richieste di certificazione, risiede all’interno di un articolo del Testo Unico degli Enti Locali e, segnatamente, l’articolo 243-sexies che prevede la possibilità di pagare solamente i debiti presenti all’interno del piano di riequilibrio finanziario pluriennale.

Quindi, tornando alla nostra impresa X, se quest’ultima avrà la “fortuna” di vedere inserito il proprio credito all’interno del piano di riequilibrio pluriennale, verrà soddisfatta, altrimenti, dovrà aspettare.

Chiaramente questa situazione non è ammissibile né, tanto meno, sostenibile dal punto di vista delle finanze di qualsiasi impresa.

Allora, le proposte che si vogliono, sommessamente, fare in questa sede sono le seguenti.

La prima proposta è di tipo legislativo: modificare il citato articolo 243-sexies, aggiungendo che tutti i crediti certificati sulla piattaforma del MEF devono essere obbligatoriamente inseriti nei piani di riequilibrio finanziario dei vari Enti Locali, senza mai essere considerati debiti fuori bilancio ed evidenziando che il bilancio di gestione dell’ente non potrà essere approvato senza l’indicazione dell’esatto numero dei debiti commerciali dell’ente, certificati sulla piattaforma del Ministero, nei confronti delle varie imprese.

La seconda proposta è anch’essa di tipo legislativo: modificare il sistema di certificazione dei crediti delle imprese nei confronti della P.A., prevedendo che, decorsi 30 giorni, il credito deve intendersi certificato, mutuando le categorie giuridiche e il meccanismo di cui all’articolo 20 della legge 7 agosto 1990, n.241 e successive modifiche ed integrazioni eliminando, così, il meccanismo del commissario ad acta che, allo stato, ci sembra gravoso ed inutile.

La terza proposta è di tipo pratico: in considerazione dell’alto numero di istanze di certificazione dei crediti sino ad ora presentate e tenendo conto della congiuntura economica che necessita sì di soluzioni di ampio respiro ma, allo stesso tempo, di interventi concreti nei confronti delle imprese, si potrebbe pensare di utilizzare dei soggetti indicati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, magari quelli che sono ritenuti, attualmente, candidabili al ruolo di commissario ad acta che, senza alcun onere aggiuntivo per le Amministrazioni, potrebbero avocare a sé, dopo le verifiche del caso, i pagamenti da effettuare nei confronti delle imprese da parte degli Enti Locali e/o delle Amministrazioni dello Stato per velocizzare i pagamenti stessi e, soprattutto, per dare una certezza ai tempi ed alle modalità degli indicati pagamenti.

La quarta proposta, strettamente correlata alla terza, potrebbe essere questa: non si può procedere nel senso di cui alla terza proposta? Va bene, ma allora modifichiamo i termini della responsabilità dirigenziale nel senso di prevedere, magari, che, decorso un certo tempo (in ipotesi, 90 giorni) dalla trasmissione della fattura da parte dell’impresa ovvero dall’invio dell’avvenuta certificazione del credito da parte del MEF, il dirigente dovrà pagare automaticamente, con il proprio patrimonio, tutti gli interessi moratori dovuti di cui al decreto legislativo 231/2002, con possibilità per le imprese di richiedere direttamente al dirigente stesso i riferiti interessi, anche attraverso procedure di ingiunzione.

Chi scrive è convinto che la P.A. abbia fatto passi da gigante, negli ultimi venticinque anni, in termini di “sburocratizzazione” ma è, altresì, convinto che la strada per una P.A. veramente trasparente, efficiente ed efficace sia ancora molto lunga e che detto traguardo possa raggiungersi solo attraverso misure concrete, pratiche e, talvolta, necessariamente forti.

avv. Stenio Salzano

 

 

 

 

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